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“C’è ancora domani”, un film che senza ombra di dubbio ha marchiato i cuori e le menti di tutti gli spettatori.

Siamo nel 1946, anno in cui alle donne non è garantita l’istruzione, per mantenere la famiglia devono fare i lavori più disparati e duri, a volte, ricevendo in cambio una paga inadeguata e molto al di sotto di quella riservata agli uomini, devono occuparsi della casa, dei figli e del marito, signore-padrone unica voce da ascoltare e persona da interpellare per qualunque decisione e qualsivoglia permesso.

Il ‘46 è peró l’anno in cui si riconosce il diritto di voto alle donne, una novità di grande impatto e significato sociale.

Se guardiamo, però , al passato, il tema dei diritti delle donne si è sviluppato giuridicamente sul finire del XVIII secolo grazie alla Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina ("Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne", 1791) di Olympe de Gouges, la quale si ispira al modello della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789) e della Rivendicazione dei diritti della donna (A Vindication of the Rights of Woman, 1792) di Mary Wollstonecraft.

Inutile sottolineare quanto tardi le donne abbiano raggiunto un traguardo scontato per i soli uomini, ma grazie a questo riconoscimento possono finalmente essere considerate persone pensanti e dimostrare di essere più che all’altezza di certi uomini.

Molti di loro si pavoneggiano per come la loro mascolinità trova terreno fertile in una società prettamente patriarcale secondo cui l’essere femminile è al servizio prima della famiglia d’origine poi della propria, quella che crea con un uomo che si finge gentiluomo per poi prendere il sopravvento annientando la dignità e il valore di persona della donna.

Questo patriarcato continua tuttora ad essere il seme nascosto in molti legami interpersonali o di lavoro: femminicidi, mobbing sono le conseguenze di questo retaggio culturale in una realtà che si vuole moderna, fluida, aperta, rispettosa ed egalitaria.

Questo film, attraverso le immagini, i momenti di comicità drammatica è stato più incisivo di tante belle parole perse nel vento della dimenticanza o superficialità egoista.

Questo capolavoro cinematografico è un’opportunità da non perdere per risanare una coscienza miope e limitata attraverso una riflessione costruttiva e impegnata nel sociale.

 

di Monica Fornelli

 

 

photocredit Dagospia

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