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Dedicato ad Alessandro Leogrande, Palazzina LAF, di e con Michele Riondino, è uscito nelle sale cinematografiche il 30 novembre.

Ispirato al libro “Fumo sulla città” (2013) dello scrittore tarantino prematuramente scomparso, il film affronta l’annosa questione dell’acciaieria “ex Ilva” di Taranto partendo dallo scandalo di un particolare reparto dove venivano confinati impiegati ed operai considerati “scomodi”, caso grazie al quale in Italia emerse il fenomeno del mobbing, con una condanna nel 2006 per i Riva e dieci loro dirigenti.

Come scrive Leogrande “la città posta davanti al tragico dilemma ‘salute-lavoro’ è strettamente legata al suo passato prossimo (la devastazione degli anni Novanta: il fallimento delle partecipazioni statali e la privatizzazione del siderurgico) e alle scelte prese in un passato più lontano, ma pur sempre avviluppato agli smottamenti del secolo breve. Nessuna attualità può essere colta senza quei passati.”

E appartengono al passato prossimo degli anni Novanta i fatti che Riondino rappresenta attraverso una vicenda surreale al limite del grottesco, un Fantozzi nero in cui l’autobus dei lavoratori è il teatro di una la lotta di classe defunta, dove si osserva il bassorilievo umano di un assalto a una riunione sindacale, file da lager di impiegati scortati, l’assetto da clinica psichiatrica della palazzina, la desolazione della campagna brutalizzata, dei rivoli rossastri sul terreno e dell’agonia di una  pecora, lo “zibaldone delle polveri” nella tosse del protagonista e le scene conclusive in tribunale degne del maestro Petri.

Ancora una volta Taranto è metafora del nostro Sud, di un ambiente svenduto e di un paese che cerca nella fabbrica, nelle magnifiche sorti e progressive un riscatto dalla povertà e dalla disoccupazione, ma a quale prezzo? Nel film emerge il lavoro come malessere, come ricatto, come condanna di un sistema che calpesta i diritti dei lavoratori.

Mirabile la recitazione di Elio Germano, co-protagonista e interprete di una dirigenza corrotta e senza scrupoli, di Vanessa Scalera, Michele Sinisi e dello stesso Riondino nei panni dell’operaio-spia Caterino La Manna, emblema di una mancata presa di coscienza di tanti operai che hanno smarrito il senso di ciò che sta avvenendo, nonostante i numerosi segnali che giungono costantemente intorno a loro.

Il film rende onore al testo di Leogrande per tenere i riflettori accesi su una tragedia, ormai in atto da troppi anni, contro cui sia l’autore che il regista del film si sono sempre battuti pubblicamente.

 

Maria Pansini, Ilaria Sparacimino

 

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